La Catalogna, l’Europa e la democrazia

A Madrid, nel cuore dell'Europa occidentale, dodici esponenti della politica e della società civile catalana sono in questi giorni sotto processo. Nove di essi si trovano in regime di detenzione preventiva, in molti casi da ben oltre un anno. I capi di imputazione sono gravissimi, con richieste di pena da parte della pubblica accusa che arrivano sino a 25 anni.
Tra i reati contestati vi è la "ribellione": si tratta della figura criminosa utilizzata per chi, nel 1981, entrò con le armi in parlamento e portò in strada i carri armati. Il codice penale spagnolo, in effetti, richiede, nella tipizzazione del reato, l'elemento della "rivolta violenta". L'unica violenza finora certa, per le innumerevoli immagini che la mostrano e che hanno fatto il giro del mondo, è però quella messa in atto dalle forze dell'ordine spagnole: che partono da ogni angolo del Paese per la Catalogna al grido minaccioso di "a por ellos!" ("a prenderli!"; "dategli addosso!"); che picchiano votanti e manifestanti – anche non indipendentisti – intenti a resistere pacificamente, con le braccia alzate, in difesa dei seggi; che sparano proiettili di gomma sui cittadini, nonostante il loro utilizzo sia vietato in Catalogna.
Ma la vicenda giudiziaria non si esaurisce a Madrid, innanzi al Tribunal Supremo. Altri imputati verranno giudicati (per disobbedienza e ulteriori reati) da Tribunali in Catalogna; centinaia i sindaci, gli attivisti sociali, gli artisti indagati (e in alcuni casi condannati) per aver contribuito in qualche modo alla preparazione del referendum o per aver semplicemente manifestato le loro idee (eloquente, in tal senso, l'Amnesty International Report 2017/18, pp. 339-341). Vi sono, poi, i sette politici, sia parlamentari che componenti del precedente governo catalano rifugiatisi in Belgio, Scozia e Svizzera per sfuggire all'arresto e continuare a condurre la propria azione politica dall'estero. Sono liberi cittadini in tutta Europa, visto che, anche a seguito della decisione del tribunale tedesco nel caso Puigdemont, l'autorità giudiziaria spagnola ha ritirato tutti gli ordini d'arresto europeo a loro carico. Al di là delle anomalie tecniche dei procedimenti giudiziari (evidenziate da diversi osservatori internazionali), è evidente ciò che sta accadendo: si discute, nelle aule dei tribunali, di una questione eminentemente politica, che dal campo della politica non sarebbe mai dovuta uscire. Si criminalizza un'intera classe politica, la cui responsabilità è quella di aver cercato di smuovere le istituzioni spagnole da posizioni di radicale chiusura al dialogo. Si dimentica che oltre due milioni di cittadini catalani chiedono da anni, in maniera civile e pacifica, di potersi esprimere liberamente e democraticamente sull'assetto della relazione tra la Spagna e la Catalogna.
Solo da una posizione di intransigente nazionalismo si può continuare a ritenere la questione dell'indipendenza catalana un tema su cui non può neanche essere aperta una discussione democratica; solo da una posizione illiberale si può ritenere preferibile a quella prospettiva la compressione di fondamentali diritti civili e politici.
Il silenzio dell'Europa, che liquida la vicenda come affare interno alla Spagna, è deprecabile e pericoloso. Si tratta di un segno di debolezza delle istituzioni europee, non di forza, e contribuisce alla radicalizzazione del conflitto anziché alla sua risoluzione. Se la UE accetta la criminalizzazione della protesta pacifica e della disobbedienza civile in un Paese membro della rilevanza della Spagna, ad essere minacciati sono i diritti democratici non solo dei catalani, ma degli spagnoli e degli europei tutti. E quel silenzio diviene imbarazzante allorquando il Parlamento europeo vieta ai politici catalani rifugiati all'estero di partecipare ad una conferenza organizzata nei suoi locali mentre consente, quasi contestualmente, un dibattito anti-catalanista promosso dal partito spagnolo di estrema destra Vox, dichiaratamente e programmaticamente omofobo, maschilista, xenofobo.
Preoccupa anche la scarsa attenzione di parte della stampa, dell'opinione e degli intellettuali del nostro Paese. Nello scenario descritto, crediamo invece siano necessari l'impegno e il controllo vigile di tutti coloro che hanno a cuore la protezione dei diritti, dei valori democratici e dei principi sanciti dagli stessi Trattati UE.
Chiediamo, come cittadini europei, la scarcerazione dei prigionieri catalani, il ritorno ad una situazione di normalità democratica e l'apertura di un dialogo politico sulla questione, unica strada che possa condurre ad una risoluzione della stessa coerente con i valori della democrazia.
Il destino della Catalogna è anche il nostro destino, e il destino dell'Europa intera.

PRIMI FIRMATARI

Maurizio Acerbo, segretario nazionale PRC-Sinistra Europea, Roma
Luigi Agostini, saggista, Roma
Matteo Angioli, Partito Radicale, Roma
Vando Borghi, Università di Bologna
Bojan Brezigar, giornalista, Trieste
Luca Cassiani, Consigliere PD Regione Piemonte, Torino
Luciano Caveri, giornalista e politico, Aosta
Lluís Cabasés, giornalista, Alba
Massimo Cacciari, filosofo, Venezia
Duccio Campagnoli, ex Assessore Emilia-Romagna, Bologna
Fulvio Capitanio, Economista, Barcellona
Elisa Castellano, Fondazione Di Vittorio, Roma
Pietro Cataldi, Rettore dell'Università per stranieri di Siena
Nancy de Benedetto, Presidente Associazione italiana di studi catalani, Università di Bari
Luigi de Magistris, sindaco di Napoli
Piero Di Siena, giornalista, Roma
Fausto Durante, Resp. politiche internazionali ed europee Cgil, Roma
Paolo Ferrero, vice presidente del Partito della Sinistra Europea, Torino
Gennaro Ferraiuolo, Università di Napoli Federico II
Luigi Foffani, Università di Modena e Reggio Emilia
Eleonora Forenza, Parlamentare europea GUE/Ngl, Rifondazione comunista, Bari
Laura Harth, Rappresentante alle Nazioni Unite del Partito Radicale, Roma
Rafael Hidalgo, insegnante, Ràdio Catalunya Itàlia, Roma
Andrea Maestri, Avvocato per i diritti umani, Ravenna
Fabio Marcelli, ISGI CNR, Associazione giuristi democratici, Roma
Maria Grazia Meriggi, Università di Bergamo
Sandro Mezzadra, Università di Bologna
Cesare Minghini, sindacalista CGIL, Bologna
Tomaso Montanari, Università di Siena, Firenze
Michela Murgia, scrittrice e attivista, Roma
Simone Oggionni, Responsabile Forum Europa MDP-Articolo 1, Roma
Fiorella Prodi, segreteria regionale Cgil Emilia-Romagna, Modena
Roberto Rampi, senatore PD, Vimercate (MB)
Patrizio Rigobon, Università Ca' Foscari di Venezia
Simonetta Rubinato, avvocato, ex senatrice e deputata, Treviso
Emilio Santoro, Università di Firenze, Centro di documentazione "L'altro diritto"
Tania Scacchetti, segretaria nazionale Cgil, Bologna
Rossella Selmini, Università del Minnesota, Minneapolis-Bologna
Barbara Spinelli, giornalista e Parlamentare europea GUE/Ngl, Roma
Massimo Torelli, coordinatore nazionale di Altra Europa Con Tsipras, Firenze
Gianni Vernetti, ex senatore e sottosegretario agli Affari esteri, Torino
Walter Vitali, Direttore esecutivo Urban@it – Centro nazionale studi politiche urbane, Bologna


Queste sono le prime delle 800 adesioni ricevute finora.
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English version

Catalonia, Europe, democracy

In Madrid, at the heart of Western Europe, twelve Catalonian politicians and social activists are on trial.
Nine have been held in pre-trial detention, many for more than one year. They have been charged with very serious crimes and prosecutors are seeking punishments up to 25 years of imprisonment.
One charge is "rebellion," the same charge brought against those who, attempting a coup d'état in 1981, invaded the Parliament with weapons drawn and drove tanks onto the streets. To substantiate a
charge of rebellion, the Spanish Criminal Code requires proof of a "violent uprising". However, the only violence in Catalonia, as films shown around the world demonstrate, was committed by Spanish national police sent there from other parts of the country by the national government. Shouting "a por ellos!" ("go to get them!"), they beat voters and protesters – including people who were against independence but just wanted to express their view – who resisted peacefully, with hands held high, and used rubber bullets
against demonstrators, even though their use is forbidden in Catalonia.
But criminalization of behaviours is not limited to the proceedings in Madrid in the Tribunal Supremo. Other people have been accused of "disobedience" and other crimes (some have been tried and
sentenced) on the basis of political differences. These include hundreds of mayors, social activists, academics and artists who are said to have contributed in some way to organizing the 2017 referendum or simply to have expressed their political beliefs (see Amnesty International Report, 2017/18, pages 339-341).
Seven elected Catalonian politicians, members of Parliament and the former Catalan government, are in exile in Belgium, Scotland, and Switzerland to avoid being arrested and to continue their political action from abroad. Everywhere in Europe, except Spain, they are free citizens, considering that the Spanish judicial system withdrew European Arrest Warrants against them after a German judicial decision rejecting the alleged grounds for extradition in the case of Puigdemont.
There are many procedural and other fundamental defects in the Madrid trial (which international observers repeatedly point out). Indeed, what is occurring in Madrid is a conflict over political opinions and beliefs, not a legitimate trial for criminal wrongdoing. Political differences, however, should be debated in political forums, not in criminal courts. A Catalonian political elite is being punished only because of its political beliefs and its attempt to move the Spanish national government from years of radical refusal to discuss and negotiate political disagreements. We don't have to forget, moreover, that more than two million Catalonian citizens have for many years been peacefully asserting their basic human rights to freely and democratically expressing their views about the relationship between Spain and Catalonia.
Only from a position of intransigent nationalism the issue of Catalan independence is something that cannot deserve a democratic discussion; only from an illiberal position could restriction of fundamental human rights be preferred.
The silence of Europe, which dismisses the unfolding Catalonian-Spanish conflict as merely an internal Spanish matter, is dangerous and short-sighted. It's an evidence of the weakness of European institutions, not of strength, and makes the polarization of the conflict worse. For the EU to accept the criminalization of peaceful protest and civil disobedience in Spain threatens not only the human rights of Catalans, but also of Spaniards and all other Europeans. That silence becomes embarrassing when the European Parliament forbade the Catalan exiles to participate in a conference organized in its rooms, while allowing an anti-Catalan debate promoted by the Spanish far right party Vox--homophobic, sexist, and xenophobic—to occur.
We are also concerned about the paltry attention being paid to these issues by some of Italian media, public opinion, and intellectuals. The engagement of all who care about protection of human rights, of democratic values, and of those principles established by European treaties is more than ever necessary.
As European citizens, we ask for release of the Catalonian prisoners, for return to a democratic normality and for starting a genuine dialogue over political differences. That is the only path that can lead to a solution that is consistent with the most fundamental values of democracy and human rights.
The destiny of Catalonia is also our destiny, and the destiny of all of Europe.

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